Un filo rosso collega le mobilitazioni di oggi in Polonia e quelle che ci sono state nei giorni scorso in Umbria e nelle Marche: si oppongono ad un unico progetto, che vede impegnate organizzazioni fondamentaliste cattoliche come Ordo Iuris nell’occupare luoghi determinanti nell’esercizio del potere democratico. La partita è importante anche perché è un’ulteriore sfida per la costruzione di una cittadinanza comune europea fondata non soltanto su parametri economici ma anche su un comune paesaggio valoriale: laicità, diritto all’autodeterminazione sui propri corpi e sulle proprie vite, legittimità della pluralità delle forme in cui amare e diventare genitori. Dobbiamo vincerla, questa partita.
POLONIA. In Polonia a chiamare le piazze di oggi è la Women’s Strike (Strajk Kobiet), che coordina le sollevazioni popolari contro il governo in carica. Dal 2015 ad oggi la mobilitazione è diventata di massa. Durante la giornata saranno raccolte le firme per la proposta di legge d’iniziativa popolare “Aborto legale, nessun compromesso” elaborata da un comitato promotore formato da associazioni e partiti di opposizione.
Le attiviste si aspettano repressione e violenze da parte della polizia. Le intimidazioni non si sono mai fermate dal 22 ottobre scorso, quando il Tribunale costituzionale polacco ha annunciato la pubblicazione della sentenza che è entrata in vigore il 27 gennaio 2021, vietando l’interruzione volontaria di gravidanza anche in caso di malformazioni fetali gravi. Inasprendo così la legge più restrittiva d’Europa in materia di aborto, per la quale chiunque aiuti una donna ad abortire – medico, amica o familiare che sia – rischia fino a sei mesi di carcere. L’indipendenza dell’organo che ha emanato questo provvedimento, il Tribunale Costituzionale, è fortemente messa in discussione.
IL CONFLITTO IN EUROPA. Entrambe le questioni, sia la limitazione del diritto di aborto che la mancanza di indipendenza della magistratura sono state affrontate il 24 febbraio scorso al Parlamento europeo dalla commissione per le libertà civili (LIBE) e della commissione per i diritti delle donne (FEMM), riunite in forma congiunta. Il conflitto tra governo polacco e istituzioni europee è stato evidente. La maggioranza degli/delle europarlamentari richiede richiamano l’articolo 7 del Trattato sull’Unione europea, che prevede la possibilità di sospendere i diritti di adesione all’Unione europea, come il diritto di voto in sede di Consiglio, in caso di violazione grave e persistente da parte di un paese membro dei principi sui quali poggia l’Unione (libertà, democrazia, rispetto dei diritti dell’uomo, delle libertà fondamentali e dello Stato di diritto). Wojciech Hermeliński, ex giudice costituzionale, è intervenuto nel corso dell’audizione spiegando perché alla base della sentenza della Corte costituzionale polacca ci sarebbero dei vizi di invalidità: “Tre dei quindici giudici della sezione che ha deliberato erano stati appena nominati e non avevano ancora prestato giuramento. In più, un altro giudice avrebbe dovuto sottrarsi dalla decisione, perché ex parlamentare e autore di una proposta di legge analoga in passato”. Le criticità del provvedimento non sono solo nella forma, ma anche nella sostanza: “L’articolo 38 della costituzione polacca difende il diritto alla vita, ma i giudici hanno reso valido questo diritto in maniera molto estensiva dal momento del concepimento”. Ma la Commissione europea, rappresentata in questa sede da Helena Dalli, prende tempo: per aprire una procedura di infrazione dell’articolo 7 del Trattato, dice, “ci vogliono prove concrete”. Qui il video della seduta: https://multimedia.europarl.europa.eu/it/libe-femm-joint-meeting_20210224-1345-COMMITTEE-LIBE-FEMM_vd
L’APPELLO DI MARTA LEMPART. Non sembra dunque sufficiente quanto accaduto fino ad ora e per questo Marta Lempart insiste sulla necessità che la politica si faccia sentire anche negli paesi europei: “scegliete un politico europeo, scegliete un politico nazionale e ditegli che i polacchi sono europei per i quali bisogna lottare. Tutto ciò che sta accadendo ai diritti umani e ai diritti delle donne in Polonia sta accadendo a causa dell’erosione dello Stato di diritto e della distruzione dell’indipendenza giudiziaria. Dite ai vostri politici di sanzionare il governo polacco, di usare la condizionalità di bilancio. Non abbiamo bisogno della loro misericordia, non abbiamo bisogno che piangano le loro lacrime per la triste vita delle donne polacche e facciano dichiarazioni populiste, abbiamo bisogno che ci vedano come parte della comunità europea, come cittadini alla pari e che agiscano”, afferma nell’intervista divulgata oggi da IPPF European Network e tradotta in italiano da Pro-choice Rete Italiana Contraccezione Aborto.
LA PETIZIONE. In questa direzione va la petizione che chiede il richiamo dell’ambasciatore italiano in Polonia, “per chiarimenti sullo Stato di diritto di questo paese in relazione a provvedimenti che non colpiscono solo i cittadini e le cittadine polacche, ma mettono in dubbio le regole comuni che sanciscono il patto di adesione alla Comunità europea e dunque ci riguardano”. La petizione, che ad oggi ha raccolto circa trentamila firme, sarà consegnata ai rappresentanti istituzionali italiani entro il mese di marzo.
IL FLASH MOB DELLE PARLAMENTARI ALL’AMBASCIATA. L’European Parliamentary Forum for Sexual and Reproductive Rights (EPF), la rete europea di parlamentari impegnati/e nella tutela dei diritti sessuali e riproduttivi delle donne, promuove le manifestazioni che si svolgeranno oggi tra le 16 e le 20 davanti all’ambasciata della Polonia in Italia, Finlandia, Svizzera, Germania, Spagna, Slovenia, Albania, Austria, Paesi Bassi, Lituania, Irlanda e Croazia. Laura Boldrini e Lia Quartapelle, che fanno parte di EPF, hanno lanciato l’appuntamento italiano, che si svolgerà oggi alle 16. Il flash-mob si terrà all’esterno della sede diplomatica di Roma, all’angolo tra via Pietro Paolo Rubens e via dei Monti Parioli. Le motivazioni della mobilitazione sono descritte in un manifesto promosso dalle deputate polacche Katarzyna Kotula, Wanda Nowicka e Joanna Scheuring-Wielgus.
UMBRIA LABORATORIO DI ‘AGENDA EUROPA’ IN ITALIA. Nell’Umbria “zona arancione”, il 6 marzo le attiviste della rete umbra per l’autodeterminazione hanno scelto la forma della mobilitazione diffusa organizzando flash mob a Orvieto, Citerna, Castello, Narni, Foligno e Perugia. A spingere le donne in piazza non è solo la difficoltà di abortire in questa regione dove nessuno degli ospedali universitari pratica l’aborto farmacologico (che quindi non viene neanche insegnato), ma anche la prospettiva di un’ulteriore spinta verso l’imposizione della cosiddetta “famiglia naturale” che è nei presupposti del fondamentalismo religioso cattolico.
Oggetto della protesta, infatti, è la proposta di legge a firma Lega che intende modificare il testo unico in materia di Sanità e Servizi Sociali della Regione Umbria riguardante le “politiche per le famiglie”. Un testo che sembra ispirato a quanto già realizzato dalle giunte di centro-destra in Lombardia dal 2000 ad oggi: smantellamento della rete socio-sanitaria pubblica, enfasi sulla figura del “caregiver” – che più spesso è la caregiver -, presenza dell’associazionismo in consultorio, incluso quello cattolico no-choice come il “Movimento per la vita”.
Non è difficile rintracciare in questa proposta di legge, che parla dell’embrione come del ‘nascituro’ e di ‘vita nascente’, la trama descritta in “Agenda Europa”, think-thank orientato alla soppressione dei diritti sessuali e dei diritti LGBTQ in Europa.









