Considerando le pessime leggi che sono uscite dal governo Lega/5Stelle, la nuova legge sulla violenza di genere, la n. 1200/2019 – cosiddetta Codice rosso – avrebbe potuto fare danni peggiori.
La legge presenta aspetti positivi e negativi. Entrambi derivano da una impostazione securitaria del problema tutta centrata sulla pena. Si trascura la prevenzione, si ignora che una quota preoccupante di procedimenti viene archiviata, e non si prevedono fondi (clausola di invarianza finanziaria).
Quello dei soldi è un problema chiave. La violenza maschile sulle donne costa allo Stato italiano quasi diciassette miliardi di euro all’anno: l’1.04% del Pil, più del totale degli investimenti lordi in mezzi di trasporto, a fronte di poco più di sei milioni spesi per interventi di prevenzione e contrasto. Il dato, riferito al 2013, è stimato per difetto perché solo il 18% di coloro che subiscono atti di violenza li considera tali.
A commento della legge va sottolineato che, a differenza della Spagna per esempio, non abbiamo una legge organica sul femminicidio che si ponga l’obiettivo di affrontare il problema a 360 gradi, che vuol dire porsi il problema della formazione e della prevenzione. A dire il vero non esiste neanche, in Italia, la fattispecie di reato di femminicidio.
Aspetti positivi della legge
- l’innalzamento delle pene, perché può consentire di avere periodi più lunghi di custodia cautelare in carcere o agli arresti domiciliari durante l’attività di indagine, e questo va a tutela delle persone offese
- gli uffici di procura hanno l’obbligo di trattare in via prioritaria le denunce in materia di violenza
- importantissimo che si preveda il raccordo tra processo civile e penale quando è aperto un caso di violenza domestica e allo stesso tempo con un giudizio di separazione civile
- importante che siano stati introdotte alcune fattispecie di reato: l’introduzione del reato di porno vendetta (revenge porn), reato di ‘Deformazione dell’aspetto della persona tramite lesioni permanenti al viso’, violenza assistita
Aspetti negativi (problemi che questa legge non affronta)
La certezza della pena è importante, perché le sentenze non sono da considerare solo per l’aspetto punitivo ma anche per quello riparativo nei confronti della vittima. Per questo il problema della giustizia nei casi di violenza di genere non è interamente risolvibile dall’innalzamento delle pene, ma riguarda anche la raccolta delle prove e il modo in cui sono condotti i processi.
Solo il 44,2% del campione dei procedimenti analizzati si è concluso con una condanna e pene, in gran parte dei casi, ridotte di un terzo per quella che in gergo tecnico viene definita «circostanza attenuante generica» (ad esempio essere incensurati). Sono i risultati di un’indagine di Claudia Pecorella, docente di diritto penale all’Università di Milano, sulle prassi del Tribunale di Milano in materia di maltrattamenti in famiglia.
In un’intervista su Corriere.it, Maria Monteleone, procuratrice aggiunta a Roma, segnalava che dei 1.545 fascicoli aperti nel precedente anno giudiziario per maltrattamenti, di circa 600 è stata chiesta l’archiviazione.
Sono segnali importanti ad indicare che troppo spesso le donne, durante i processi, non vengono credute.
Etnografie condotte nelle aule dei tribunali hanno evidenziato le storture nel funzionamento dei processi per violenza domestica: la testimonianza deve essere resa nel modo in cui i magistrati si aspettano che vengano resa, mentre la memoria traumatica funziona in modo diverso da come i magistrati pretenderebbero. Inoltre i magistrati spesso agiscono sulla base degli stereotipi su come si dovrebbe comportare una che subisce violenza.
L’intero impianto della legge, basato appunto sulla pena, è vanificato o comunque indebolito da una certa “cultura” che sembra ancora prevalere in magistratura. Un articolo sulla formazione della magistratura sarebbe stato utile.
Leggendo a ritroso i casi di femminicidio si scopre che avrebbero potuto essere evitati: tutti sapevano, spesso aveva chiesto aiuto a una serie di figure che non avevano saputo raccogliere la sofferenza e la richiesta di aiuto. Lo fa Marina Calloni per la Commissione nazionale di inchiesta sul femminicidio, ma la legge non fa riferimento a protocolli come il progetto EVA, che pure sono stati adottati in via sperimentale.
Un altro problema della legge potrebbe essere rappresentato dall’obbligo del pm di sentire la vittima entro tre giorni, perché questo potrebbe ostacolare invece che facilitare il percorso, dando luogo a quella che si definisce vittimizzazione secondaria. A correggere questo articolo interviene positivamente una clausola per cui il termine di tre giorni entro i quali sentire la donna può essere prorogato.
Dati e fonti bibliografiche:
Eleonora Cirant, Il contrasto alla violenza maschile sulle donne tra politica e diritto, in: Lidia Cirillo (a cura di), Se il mondo torna uomo, Alegre, 2018
Commissione parlamentare di inchiesta sul femminicidio. Relazione finale (marzo 2018)
Giuditta Creazzo, Se le donne chiedono giustizia. Le risposte del sistema penale alle donne che subiscono violenza nelle relazioni di intimità: ricerce e prospettive internazionali, Il Mulino, 2013
Fabio Roia, Crimini contro le donne. Politiche, leggi, buone pratiche, Franco Angeli, 2o17
Immagine: “Dacci un taglio”, locandina contro la violenza nata dal lavoro della classe 3S1 (2012/13) del Liceo Scientifico “E. Majorana” di Orvieto – progetto “La scuola fa la differenza” con Centro Antiviolenza Albero di Antonia e Maschile Plurale
tra le 600 denunce archiviate, alcune saranno state davvero senza fondamento ma altre no