Estela Díaz è sindacalista, dirigente del CTA (Central de trabahadora de Argentina) e femminista. L’abbiamo incontrata a Ri-make il 6 giugno 2019 (*) e questa è la trascrizione del dibattito.
Abbiamo toccato moltissimi temi: la campagna per l’aborto sicuro, Ni una menos e il movimento femminista, l’organizzazione dello sciopero dell’8 marzo e il ruolo delle organizzazioni sindacali, il rapporto del movimento femminista con i media, con i partiti e i sindacati, le differenze che attraversano il movimento, le pratiche del movimento, il rapporto con le donne cattoliche, l’azione del Vaticano e di Bergoglio, la legge sul femminicidio.
Le domande (in neretto) vengono dalle circa venti persone (più donne che uomini) che, sedute intorno a un tavolo nel cortile soleggiato di Ri-make, hanno dialogato con Estela. Di lei mi ha colpito in particolare la risata, schietta e contagiosa… una risata che è come un prenderti a braccetto.
Proprio in questi giorni cade l’anniversario della manifestazione del 6 giugno 2015 da cui è partita l’ondata mondiale di Non una di meno
E. D. Oggi c’è una mobilitazione in tutto il paese perché a partire dal 3 giugno 2015 si è instaurata come una nuova. Da quest’anno abbiamo deciso che ogni 3 di giugno ci sarà una manifestazione per ricordare l’inizio delle lotte di Ni una menos. Quindi sono legate: 8 marzo, 3 giugno e 25 novembre.
Questa manifestazione da chi è indetta?
Eh, non è facile rispondere a questa domanda. A partire da Ni una menos si fanno assemblee che possono essere motivate da situazioni contingenti, come un femminicidio. Si è cercato di coordinare queste assemblee e i gruppi che le compongono sono molto eterogenei: partiti, sindacati, collettivi glbtq, tutti i collettivi delle donne, per dare vita a movimenti di opinione, manifestazioni e documenti. Sono assemblee difficilissime per la costruzione del consenso. C’è molta trasversalità politica e quindi molta tensione. Però c’è una forte volontà di incontrarci nel modo assembleare. Si mette data, orario, convocazione e tutte le persone che vogliono intervengono.
Quindi c’è una pluralità di organizzazioni sia istituzionali che di movimento che attraverso una modalità assembleare definiscono dei contenuti?
Abbiamo come antecedente di spazio molto plurale di donne l’incontro nazionale delle donne. Ogni anno, da 34 anni, in una città diversa dell’Argentina c’è un incontro di donne che ogni anno aumenta. L’anno passato si è svolto in una città molto a sud dell’Argentina, 1.500 km da Buenos Aires, e parteciparono 50.000 donne. Si auto-organizzano, vendono materiale, cucinano, fanno vestiti per finanziarsi. E ogni anno le partecipanti sono sempre più giovani.
L’altro antecedente è la campagna per l’aborto, che nasce nel 2005.
Ci sono anche gli uomini in queste assemblee?
No. Partecipano trans, ma uomini no.
Dal 2015 a oggi c’è stata una trasformazione anche organizzativa oppure no?
No. Il gruppo originario, che era formato da giornaliste e femministe, si è diviso in più gruppi. La forza non è nell’organizzazione di questo gruppo ma nell’impatto sociale che ha avuto la mobilitazione di massa delle donne. Come la mobilitazione ha impattato in tutti i settori della società: partiti, sindacati, studenti, organizzazioni giovanili tutto è stato permeato e Ni una menos ha aperto un dibattito in tutte le organizzazioni. Il che ha comportato una inclusione della prospettiva femminista in tutte le organizzazioni.
Ni una menos quindi non è come in Italia un movimento organico che ha le sue strutture, ma sono gli obiettivi che attraversano tutte le strutture delle società.
La forza è nella alleanza trasversale. Quindi ha referenti che sono donne molto conosciute però non è una rappresentanza organica.
E la campagna per l’aborto legale è una delle espressioni di questo movimento?
La campagna nasce nel 2005 e nasce da 70 organizzazioni femministe però somma organizzazioni sindacali, movimenti sociali, e altri settori. Ora sono 500 organizzazioni. Questa campagna ha sì una sua organizzazione, flessibile ma c’è. La campagna si pone tre obiettivi: cambiare la legge, di avere accesso all’aborto legale; avere una discussione più radicata possibile a livello federale in tutto il paese; collegare i diritti delle donne con i diritti umani intesi nel contesto della repressione del terrorismo di Stato. Facciamo riferimento alle madri e le nonne di Plaza di Majo, perché il panuelo bianco era il panuelo delle madri, da lì viene il panuelo verde. La questione dei diritti umani è portata avanti sì da organizzazioni e gruppi, però va oltre, è un movimento sociale ampio che cerca di darsi un coordinamento e questo è lo stesso modello che hanno adottato nel movimento delle donne.
In questa dinamica, chi finanzia ha più potere? Cioè organizzazioni più grosse possono avere più potere economico e quindi decisionale oppure questo non succede?
No, non succede perché non ci sono finanziamenti. La campagna per l’aborto in 8 anni avrà ricevuto da Fondo globale delle donne, Mamacash, 20.000 dollari all’anno. Compriamo la stoffa per i panuelos. Il resto è autofinanziato. Nell’ultimo anno sono arrivati molti aiuti di gruppi femministi internazionali per organizzare grandi eventi. Nelle manifestazioni quest’anno, mentre si discuteva la legge, sono arrivate quasi 2 milioni di persone.
I media hanno aiutato, ostacolato, o sono stati indifferenti? In Italia non abbiamo molta visibilità.
Fino al 3 giugno 2015 è stato così. Praticamente fino a quel momento gli incontri nazionali di donne non venivano riportati da nessun media, tranne “Pagina 12”. Ma soprattutto la campagna per il diritto all’aborto ha potuto darsi una forte strategia di comunicazione verso i media. Abbiamo fatto manuali su come trattare il tema verso i media, c’è un lavoro di lunga lena sulle giornaliste, con relazioni che si intrattengono e questo ha prodotto un clima piuttosto favorevole sulla questione. Ci sono due reti di giornaliste femministe e i sindacati dei giornalisti sono molto attivi, partecipano. Quindi sono favorevoli alla mobilitazione e non possono eluderla: con il fatto che vengono in piazza milioni di donne è un po’ difficile non parlarne.
A che punto siamo con la legge sull’aborto?
L’anno passato si discusse alla Camera dei deputati e c’è stata una enorme mobilitazione, la marea verde, e un voto positivo alla Camera. Purtroppo al Senato, ad agosto, abbiamo perso per 5 voti. Siamo passati da 12 a 31 voti favorevoli al Senato grazie alla Campagna. L’abbiamo chiamata la rivoluzione delle figlie e nipoti perché nelle famiglie stesse dei politici le giovani e i giovani litigavano per far cambiare il parere al papà senatore. Quest’anno abbiamo ripresentato un progetto di legge alla Camera, il 28 di maggio, e senza risorse finanziarie c’è stata una mobilitazione enorme. C’è stata molta auto-organizzazione, a partire dalle ragazze nelle scuole medie che prendevano il treno e andavano insieme a Buenos Aires
Quest’anno non abbiamo aspettative perché la composizione delle Camere è sempre la stessa. L’aspettativa è per l’anno prossimo, se cambierà la composizione delle Camere. A ottobre ci sono le elezioni: metà parlamento cambia.
Come si fa per abortire?
A parte che in Uruguay, dove è legale con restrizioni, e a Cuba e Città del Messico, nel resto del continente è illegale. C’è una rete di accompagnamento di auto-aiuto soprattutto attraverso l’aborto medico, che ha facilitato molto questa pratica. Si chiama “Soccorso rosa”. E c’è inoltre una “rete del personale della salute per il diritto a decidere”, che raccoglie più di mille medici/ostetriche nel paese, che lavora nel settore pubblico della salute che praticano aborti negli ospedali pubblici, anche senza legge.
E non sono perseguiti?
No, perché la legge attuale permette l’aborto in caso di violenza, e per motivi di salute o rischio di vita. C’è un protocollo varato dal governo precedente che lascia abbastanza spazio per potersi inserire.
Lo slogan della campagna è: educazione sessuale per decidere, contraccettivi per non abortire, aborto legale per non morire. Adesso si è un po’ discusso su “aborto per decidere”. Ma la campagna ha prodotto delle conquiste negli obiettivi per quanto riguarda l’educazione sessuale e l’accesso ai contraccettivi attraverso il sistema sanitario, che sono gratuiti.
Davvero?! La contraccezione è gratuita?
Sì! Anche gli impianti sottocutanei!
Le reti di aiuto esistevano prima?
Dal 2010.
E Soccorso Rosa sono le attiviste?
Sì.
E neanche loro sono perseguite?
Una medica è stata processata perché il compagno della ragazza che ha abortito l’ha denunciata, ma generalmente no. Sul sito della rete di attiviste c’è un cellulare, che viene gestito dalla rete di attiviste, formalmente e pubblicamente per dare informazioni. Non dicono pubblicamente che danno la pillola.
I movimenti sociali insistono molto sugli arretramenti che questo governo ha portato per tutta la società negli ultimi tre anni e mezzo.
Il femminismo ha avuto una grossa forza perché ha fatto una lotta per ampliare i diritti in una fase, in un contesto in cui c’era una restrizione di diritti.
Che ruolo hanno le organizzazioni sindacali nell’organizzare lo sciopero dell’8 marzo, partecipano tutte, o solo alcune?
In Argentina ci sono tre confederazioni sindacali. La più grande, la CGT (Confederación General del Trabajo de la República Argentina) non ha aderito allo sciopero femminista dell’8 marzo, ma le altre sì, più una corrente minoritaria della CGT. Il nostro sindacato, la CTA, ha fatto l’appello allo sciopero delle donne nelle modalità che ogni sindacato decide, perché siamo una confederazione di sindacati ma con larga autonomia di ciascuno.
Questo è molto comune in Argentina. Ognuno chiama per la stessa cosa, a volte non firmano tutti insieme, ma vanno a fare la stessa cosa.
Quando facciamo le assemblee per lo sciopero parliamo in tante, ma non è che parliamo come sindacaliste. Tutti questi movimenti lavorano con lo stesso schema, sono assembleari.
Quindi l’8 marzo è sciopero, ognuno lo organizza come crede
Un sindacato ha fatto sciopero due ore, un altro 24, chi solo donne, chi con uomini che fanno lavoro al posto delle donne. Ogni sindacato aderisce secondo le sue modalità.
C’è una manifestazione unitaria?
Sì enorme. Abbiamo fatto un blocco unico sindacale, nella manifestazione, e un blocco del lavoro non organizzato in sindacato. E questo è stato molto buono per il movimento sindacale perché ci ha permesso di parlare del concetto del lavoro in un senso più ampio. Questo movimento ha rafforzato molto il protagonismo delle donne dentro i sindacati, che sono luoghi molto maschilisti.
E il primo momento di incontro inter-sindacale è stato proprio il movimento delle donne, per il sindacato. E adesso c’è uno spazio inter-sindacale anche sui diritti umani, sulla salute eccetera.
Che tipo di organizzazione hanno le donne all’interno di questi sindacati?
Il nostro nasce nel 1994, in piena politica neo-liberale, le privatizzazioni eccetera, dalla rottura dentro al sindacato più grande. Dall’inizio la CTA ha un’agenda di genere, il tema della violenza, della salute sessuale e nel 2000 si è creata la segreteria dell’uguaglianza di genere, a tutti i livelli, dal nazionale al locale, e facciamo riunioni periodiche in cui partecipano le responsabili delle politiche di genere a livello locale e nazionale. Generalmente operiamo su tre assi: lavoro (vertenze e lavoro riproduttivo), violenza e salute sessuale e riproduttiva.
Per statuto abbiamo una quota del 30% di donne nella dirigenza.
Da noi (nel nostro sindacato) le quote sono fallite perché gli uomini portavano le donne che volevano loro. Invece da voi le quote sono state significative?
Dal 1991 ci sono le quote a livello legislativo, mentre nel sindacato è stato più difficile, però sta dando buoni risultati ed ha fatto che sì che ci siano più donne giovani nel sindacato. E la forza del movimento ovviamente ha contribuito molto a questa dinamica. Comunque è difficile avere le donne al livello della segreteria generale. Ci sono dei tetti di vetro ai vari livelli.
Mi pare che nessuno dei due partiti maggioritari appoggi l’aborto legale
Il problema è che né il partito di Macrì né il partito Kirchneriano sono favorevoli alla legge sull’aborto, ma lasciano libertà di voto ai singoli parlamentari. Nel partito della Kirchner ci sono stati più voti favorevoli. Il partito più sinistra è favorevole ma ha solo 4 deputati su 250.
C’è sospetto da parte delle femministe verso i partiti oppure il movimento sostiene le parlamentari che appoggiano le istanze femministe?
In Argentina c’è una parte del movimento femminista che ha grosse difficoltà con partiti e sindacati. L’aborto sembra che non sia un tema centrale che determina il voto. L’unico partito che lo porta avanti è un’alleanza di partiti trotzkisti che hanno pochi voti. Il fatto che i due partiti maggioritari non ne facciano una questione di identità nelle elezioni lascia lo spazio alle parlamentari per prendere posizione ed essere sostenute dal movimento.
La questione determinante in Argentina è il disastro sociale, la crescita della povertà, la distruzione dei diritti, è quello il centro del dibattito politico che fa determinare anche il voto delle persone, mentre la questione dell’aborto è trasversale ma ovviamente ci sono più favorevoli all’aborto nella parte Kirchnerista.
Tutte le conquiste legali delle donne in Argentina sono state ottenute attraverso accordi trasversali.
Dentro il movimento indicano alcune candidate che difendono l’aborto?
Ci sono femministe dirigenti del movimento che hanno la doppia militanza, che stanno dentro ai partiti e il sostenerle dipende dalla propria appartenenza politica. C’è stato un tentativo di creare un partito femminista ma non è durato neanche un anno e non è riuscito neanche a iscriversi.
Nella storia c’è stato un esempio di partito delle donne che è stato creato da Eva Peron nel 1949 e in due anni si sono creato 3600 unità di base di questo partito. Hanno eletto un 30% di donne rappresentanti nel partito peronista, prima delle quote. Ma dopo che è morta Evita, ciao partito!
Dora Barrancos, storica, dice che l’Argentina è una società con un livello di politicizzazione molto alto e in questo le donne hanno un ruolo importante. All’inizio del ‘900 c’era già un movimento suffragista e di donne sindacaliste. Nel 1910 c’è stato un congresso internazionale femminista a Buenos Aires. Sia nel movimento peronista storico che con la Kirchner c’è stata mobilitazione e protagonismo delle donne. Questo protagonismo delle donne lo chiamiamo femminismo popolare e a volte ci sono tensioni tra questo femminismo popolare e le femministe autonome. Nelle comunità c’è un peso della Chiesa e anche delle evangeliche.
In queste diverse espressioni del femminismo c’è anche una diversa interpretazione del ruolo materno?
Sì sì. E poi c’è molta differenza perché non è unico neanche il pensiero del femminismo autonomo. Nelle mobilitazioni ci incontriamo tutte malgrado le nostre differenze.
Anni fa sono stata in Argentina mi ricordo un atteggiamento molto maschilista sia nei confronti di mia figlia che mio. Quest’anno ho notato la diminuzione del machismo, c’erano meno atteggiamenti sessisti verso di noi per strada. Nelle città c’erano dei manifestini, “Tizio che abita in quella via è un uomo violento”.
Questo cambiamento si è prodotto soprattutto dal 2015. C’è una differenza tra il Me-too e il Ni una menos, perché Me-too sembra una cosa più individuale, “è successo a me” e la risposta è individuale. Ni una menos nasce come un richiamo collettivo e con una risposta collettiva. Nasce Ni una menos e poi gli scioperi internazionali delle donne, dove la problematica della donna si lega con la problematica economica, si interseca con la questione sociale. Riconosciamo il carattere internazionale perché si sono movimenti delle donne in tutto che hanno avuto successo che agiscono contro il neo-liberismo. Le donne nel mondo più ricco e meno ricco siamo attaccate dal neoliberismo e questo fa sì che ci riconosciamo nell’internazionalismo.
La pratica di denunciare nome e cognome degli stupratori e di altre forme di violenza è diffusa o è solo di una parte del movimento?
Soprattutto le giovani lo praticano, ma è discussa la cosa.
Ci sono, e come funzionano, le pratiche del movimento femminista in zone periferiche dove le persone non sono sindacalizzate?
C’è un contesto di diffusione molto forte di movimenti sociali di base a partire dalla crisi del 2001, che sono presenti nelle periferie. Sono organizzazioni di disoccupate e disoccupati, il movimento dei piqueteros. Questo è stato un momento importante per il movimento femminista in Argentina perché ha cominciato ad avere delle radici popolari, perché stava dentro quei movimenti sociali di base. E ora abbiamo confederazioni dei lavoratori e delle lavoratrici dell’economia informale e dentro lì ci sono delle femministe.
E cosa fanno concretamente?
Formazione, rivendicazioni vertenziali, asili, attenzione alla salute, contraccezione. Attivismo ampio.
E’ ben visto o perseguito? Penso a Milagro Sala.
La prima prigioniera politica del governo Macrì è una donna indigena, Milagro Sala.
Perché è stata incarcerata?
Mentre stava in una protesta. Ora c’è repressione, criminalizzazione della protesta e persecuzione delle organizzazioni sindacali, non solo attraverso arresti ma anche con le multe.
Come sta adesso?
Adesso Milagro è agli arresti domiciliari, ma altre dieci persone della sua organizzazione sono in carcere. Si è instaurato un sistema di repressione attraverso il sistema giudiziario. Io sono nel coordinamento nazionale dei comitati per la liberazione di Milagro Sala e dei detenuti politici.
Le ragazze che si mobilitano per l’aborto, si mobilitano anche per Milagro Sala?
Eeehhh, questo è un grande dibattito! Al principio no. All’inizio c’era molta divisione. Che se Milagro era Kirshnerista, se Milagro era una femminista … Milagro era una femminista spontanea. Organizzava le donne per i loro diritti, lottava, ma non si definiva femminista. C’è questa questione che per molte il femminismo è identificato con la classe media e bianca. Però adesso Milagro si fa le foto con il panuelo verde! In questi ultimi anni, la rivendicazione per la sua libertà è nella piattaforma nazionale dell’8 marzo, prima no.
C’è molta influenza della Chiesa cattolica e di papa Francesco. C’è una capacità del movimento femminista di relazionarsi con le donne cattoliche?
In Argentina ha molta forza il movimento delle donne cattoliche per il diritto a decidere, che hanno avuto un ruolo importantissimo nel promuovere il diritto all’aborto.
E le femministe lo accettano?
Ci sono tensioni tra le femministe autonome e queste, ma nella campagna stiamo tutte insieme. La gerarchia cattolica argentina è sempre stata molto di destra e quindi i movimenti progressisti della Chiesa furono molto perseguitati durante la dittatura. I preti di sinistra sono rimasti pochi, ci sono quelli più vicini ai poveri che appoggiano la nostra causa.
Il vaticano è intervenuto pesantemente quando c’era la votazione al senato sull’aborto.
Sì, specialmente i Vescovi, facevano lobby con i senatori contro la legge.
E Francesco è visto come un papa progressita.
No ma per i diritti delle donne nooo, per niente!
C’è stata una parte della Chiesa che durante la dittatura si è voltata dall’altra parte. E Bergoglio da che parte stava?
Era nella gerarchia della Chiesa. C’è una gran polemica perché un giornalista molto riconosciuto in Argentina, Horacio Verbitsky, ha mostrato che ha avuto a che fare con la sparizione di due preti, ma adesso altri hanno fatto un libro che dimostra che Bergoglio ha salvato anche dei preti, ed è possibile che abbia fatto entrambe le cose. In più è cambiato molto nel passaggio da Bergoglio a Francesco.
Nel dibattito sul matrimonio egualitario in Argentina è stato tremendo, ha capeggiato la reazione. Però come leader mondiale del Vaticano invece sulle questioni sociali, del clima, della povertà, ha posizioni significative. Però sulle donne no!
Il dibattito sul femminicidio in Messico e la definizione di questa categoria sia sociale che giuridica, in Europa, ha fatto scuola. In Argentina avere una legge è un obiettivo del movimento oppure c’è già una legge?
In Argentina il femminicidio esiste come figura penale, la violenza di genere è una aggravante nel crimine. Il problema è che la legge la interpretano i giudici e le giudici, che sono patriarcali. Il potere giudiziario è molto patriarcale.
Nella struttura giuridica sono pochi che applicano i diritti umani in generale.
In Italia è stata fondamentale l’azione dei centri anti-violenza per fare formazione su magistratura e polizia, e i magistrati più sensibili hanno creato uno spazio per fare formazione. Poi è venuta meno la pressione del movimento femminista e adesso anche la magistratura sta tornando su posizioni patriarcali di interpretazione della legge.
Noi abbiamo una legge integrale di prevenzione della violenza che contempla tutta la violenza: dello Stato, sociale e familiare. E contempla la formazione di tutte le figure professionali, della salute, giudiziarie, eccetera. Però questo si realizza in pochi casi, perché manca un cambiamento culturale. Quindi la legge c’è ma dipende dal contesto, se è di avanzamento o di reflusso. Adesso è un momento di avanzamento.
(*) Ringrazio Celeste Grossi e Luciano Conconi per averci messo in contatto con Estela, Marie Moise, Nadia Demond e tutto il collettivo di Ri-make per aver accolto l’invito, Nadia Demond, Argiris Panagopuolos e Luciano Conconi per la traduzione in tempo reale.