Eravamo streghe, siamo befane. Ma non ci siamo “normalizzate”
Le fanciulle che si sono fotografate con il cartello “io non sono femminista” danno a noi femministe un’occasione rara di visibilità. Se fosse successo il contrario, cioè se si fosse diffuso in rete l’hashtag “io sono femminista”, avremmo avuto le luci della ribalta? Dubito. Le femministe non fanno più notizia, a meno di mettersi a seno nudo o di portare trecentomila persone in piazza. La notizia non è se un cane morde un uomo, ma se l’uomo morde il cane: la legge aurea del giornalismo.
Le anti-femministe sono come l’uomo che morde il cane?
Questo vorrebbe dire che le anti-femministe costituiscono una strana rarità: un’ottima notizia, dal nostro punto di vista. Oppure che fanno tendenza, pessima notizia per noi che tra il conservare il trasformare scegliamo la seconda – il femminismo o è trasformativo dell’esistente, o non è. Una terza ipotesi è che tanto il femminismo quanto l’anti-femminismo siano come tutto il resto. Vale a dire l’oggetto di una transitoria ed effimera attenzione, il brillìo di un fuoco che si consuma nell’arco di una giornata prima di scomparire in quel buco nero di antimateria che è il flusso di dati e informazioni dentro cui annaspiamo illudendoci di “navigare”.
Ma prima di tornare nel cono d’ombra, vale la pena di sfruttare l’occasione e dire la nostra sulla parola più boicottata e malintesa della storia contemporanea.
Va detto infatti che la parola ‘femminismo’ non è mai stata facile da digerire per il corpo sociale. Fin dalla sua nascita ha seminato zizzania e contestazioni. Sono state sempre ben poche quelle che l’hanno portata addosso con orgoglio e fra di esse contiamo anche parecchi uomini. Ad esempio, Achille Loria, noto economista, scriveva nel lontano 1910:
“Io penso che il femminismo è chiamato a schiudere all’umanità un’era più evoluta e superiore. Fin qui l’umanità ha camminato con una gamba sola: ora soltanto essa si accorge di avere due gambe e si appresta a procedere, non più saltellando, ma con passo fermo e sicuro sulla via regia del progresso civile” (1)
Donne colte ed emancipate come la scrittrice Dolores Prato ci tennero a dire, negli anni Settanta, che loro non lo erano. La psicanalista Lou Andreas-Salomé, che dialogava con Freud da pari a pari, nutriva dichiarati sospetti verso le femministe.
D’altra parte è impossibile dire che le femministe siano d’accordo tra loro. Il femminismo è una pratica di cambiamento, ne esistono molte possibili declinazioni e infatti si parla di ‘femminismi’, al plurale.
Il sospetto che aleggia intorno al femminismo è per me quasi motivo di orgoglio. Significa che non siamo normalizzate, non del tutto digerite né digeribili.
La befanizzazione del femminismo
Ai primi del secolo scorso la femminista era la “donna nuova”, per questo faceva paura. Molta paura. Oggi la femminista porta il segno di un radicalismo da molte assimilato al passato. La femminista è la donna vecchia, superata perché oggi non c’è più bisogno di conflitto. Ieri e oggi si toccano nella difesa dello status quo, nel placido accoglimento della realtà così come è.
Oggi non c’è più bisogno di femminismo? Lo pensano in molte, donne ignoranti e donne colte. Noi non ne siamo così convinte. Crediamo che la strada da percorrere per la liberazione di entrambi, maschi e femmine, sia ancora lunga.
Credo che la presa di distanza dal femminismo contenga un bisogno di ricomposizione, di normalità e di tranquillità. Credo che contenga una fuga dal conflitto latente tra maschi e femmine. Il conflitto si apre comunque, a prescindere, in virtù della storia che ci portiamo dentro e addosso. Ogni individuo lo porta dentro di sé, scritto nella carne e nel corpo. C’è un’asimmetria: le donne fanno i bambini, gli uomini no. Le civiltà umane hanno risolto il problema in molteplici modi, qui in Occidente abbiamo inventato il patriarcato e la sottomissione delle femmine ai maschi. Non ci si sbarazza di millenni di schiavitù con un colpo di spugna.
La parola ‘femminismo’ fa paura perché porta con sé un trauma. Come i muscoli in un corpo non allenato subiscono, a un movimento repentino e improvviso, uno strappo. Così il femminismo ha strappato, lacerato abitudini consolidate. Lo ha fatto con rabbia, è evidente. Ed è evidentemente che continua a lacerare.
Le persone oggi non vogliono grane e ficcano la politica in fondo alla scala di interessi e di valore. Oggi vanno di moda le tinte pastello, il bon ton. Le unghie femminili devono essere laccate, non graffianti. Gli sguardi femminili devono essere seducenti, non inquietanti. Oggi non è tempo di conflitti. Si preferisce la gentilezza. Quando proprio il conflitto è inevitabile, si cambia strada o si china la testa. La donna moderna non è conflittuale, è conciliante.
Se una volta la femminista era la strega, oggi è la befana. Ma il vecchio stereotipo resiste: zotiche, imbruttite, aliene da ogni tipico vezzo femminile come il “trucco e parrucco”, delle femministe si sa poco ma una cosa è certa, che esse sono contro i poveri, innocenti, maschi.
Noi cerchiamo modi e linguaggi per essere diversamente femministe, senza rinunciare alla nostra radicalità. La posta è alta, perché le moderne anti-femministe potrebbero essere di più che una curiosità giornalistica.
Il proclamato anti-femminismo potrebbe più che un rigurgito fascista, peggio che il ritorno acido di una digestione lenta. Potrebbe essere il segno che la paura di cambiare prenda il sopravvento. Questo, per noi donne, non è mai un buon segno.
Un balzo nel passato: la donna nuova
Ai primi del Novecento il movimento femminista era sì elitario, ma molto vivace. Forte di reti internazionali, coinvolgeva donne di diverse classi sociali e orientamenti politici. Si lottava, allora, contro i vincoli di un dominio insopportabile. Le donne dovevano chiedere permesso a mariti, padri e fratelli per qualsiasi operazione legale o amministrativa, come ad esempio vendere la propria casa o aprire una cooperativa. I diritti sulla prole erano minimi. Lottavano per il diritto di voto, per avere stipendi uguali ai colleghi maschi, per potersi iscrivere a un albo professionale, per non dover lavorare durante la gravidanza e il puerperio. Non esisteva il divorzio se non in casi estremi, di contraccezione si parlava raramente e sottovoce, l’aborto clandestino era la prassi. Si moriva di parto come le mosche. (2)
La situazione delle donne era molto peggiore di quella di oggi e in un certo senso anche quella degli uomini, che pure stavano in posizione dominante. Perché intrecciare relazioni con esseri umani liberi è molto più stimolante e vitale che averne con esseri umani schiavizzati, deprivati e sottomessi. Una minoranza di uomini lo affermava allora, e oggi lo afferma.
I più però erano terrorizzati dall’avvento della “donna nuova”, come era chiamata la donna che non rispettava i ruoli tradizionali. La quale creava il panico intorno a sé, suscitando il sarcasmo maschile e femminile (3). Molte donne si sentivano in dovere di prendere le distanze dichiarando che non erano femministe e che avrebbero continuato ad essere come tutti si erano sempre aspettate che fossero. Non avrebbero chiesto cose strampalate come il voto o il governo della cosa pubblica, non avrebbero avuto comportamenti arditi come guidare, fumare, limitare le nascite.
Io non sono femminista, ma …
Che le antifemministe di allora praticassero nei fatti la sbandierata sudditanza è questione complessa.
Qui vale la pena di segnalare che la maggioranza di quelle che oggi dichiarano “io non sono femminista” poi si affrettano a dichiarare anche “ma …”. Non sono femminista, ma credo che una donna non debba guadagnare meno di un uomo. Non sono femminista, ma dei bambini si devono occupare anche i padri. Non sono femminista, ma mi piace fare carriera. Non sono femminista, ma prendo la pillola.
Dubito che le fanciulle che portano il cartello anti-femminista siano disponibili ad entrare in un regime di sudditanza. Dubito che rinuncerebbero ai tanti benefici che quelle prima di loro hanno conquistato. Eppure si comportano in modo in certi aspetti simile alle giovani donne degli anni Venti e Trenta del Novecento.
Ci serve ancora un po’ di memoria storica, abbiate pazienza.
Le donne che succedettero alla generazione delle femministe di primo Novecento erano un po’ come quelle che oggi sbandierano il proprio anti-femminismo. Godevano di costumi più liberi delle madri (grazie anche all’influsso del cinema americano), ma rivendicavano di non essere come quelle fanatiche delle femministe.
Le cose per loro andarono davvero male. Sappiamo che nel ’25 Mussolini sciolse il Parlamento, il voto non fu più un diritto per nessuno. Nei due decenni successivi gli uomini furono addestrati al virilismo e alla guerra. Alle donne fu riservato il ruolo di madre e moglie. La contraccezione fu proibita, così l’educazione sessuale. Fu introdotto il reato di adulterio (solo per le donne). Alle donne fu vietato, tra l’altro, di insegnare. Le associazioni femminili furono sciolte tranne quelle che limitarono la propria attività all’assistenza ai bambini e alla carità. (3)
L’anti-femminismo fu un segno distintivo del regime fascista come lo è di tutti i regimi totalitari.
Il Novecento infine ha dato ragione alle femministe di primo Novecento. Il fascismo ha perso, le donne nuove hanno vinto, ma a che prezzo?
Il prezzo è scritto nei libri di storia. Ne vale la pena, di leggerli, perché la storia non si ripeta.
Pubblicato sul la27maora, 28 luglio 2014
Fonti bibliografiche:
(1) Mimma De Leo, Fiorenza Taricone, Le donne in Italia. Diritti civili e politici, Liguori, Napoli, 1992
(2) Periodico “Unione femminile”, Unione femminile nazionale, Milano, 1901-1905
(3) Sandro Bellassai, L’invenzione della virilità. Politica e immaginario maschile nell’Italia contemporanea, Carocci, Roma, 2011
(4) Victoria De Grazia, Le donne nel regime fascista, Marsilio, Venezia, 1993
Immagine: Ghada Amer. The Pink Cowboy, 2005.
http://www.brooklynmuseum.org/eascfa/feminist_art_base/gallery/ghada_amer.php?i=718
veramente sguardo seducente e inquietante possono convivere (del resto la seduzione, inquietante o no, fa parte dell’umano) così come le unghie laccate possono graffiare. Non so se queste donne siano veramente così “concilianti” o “arrendevoli”.forse qualcuna sì ma credo che alcune ce l’abbiano con alcuni “estremismi” (o ritenuti tali) del movimento femminista, ma i radicalismi ci sono in ogni movimento di emancipazione solo che nessuno crede che Lotta Continua abbia rappresentato l’intero movimento operaio.
Paolo sempre interessanti i tuoi commenti, grazie. Giustamente fai notare i chiaroscuri e metti in guardia dalle opposizioni semplificanti. E tuttavia credo che le opposizioni che ho proposto abbiano un senso, anche se temo non così evidente. Provo a spiegare.
Partirei dalle unghie laccate, sulle quali posso vantare un’esperienza pratica. Hai mai provato a portare lo smalto sulle unghie? Carinissimo, di grande effetto. A me piace molto. Purtroppo si rovina così facilmente che quando ce l’hai addosso non puoi fare niente di quello che una donna normale abitualmente fa (salvo spendere decine di euri in smalti resistenti e manicure). Le unghie lunghe sono d’impiccio per mille faccende concrete, le unghie lunghissime anche peggio. Hai queste belle unghie e non puoi farci nulla a parte esibirle, sfogliare un libro, digitare sui tasti. Graffiare? Meglio di no, potrebbero spezzarsi.
“Se bella vuoi apparire un po’ devi soffrire”, ricordi?
La faccenda dello sguardo è più complessa, mi azzardo a percorrerla nel breve tratto di una risposta. Certo che la seduzione è un fatto umano, maschi femmine ed altre favolosità la articolano in mille modi. Il problema è appunto ridurre l’umano a una cosa soltanto e il problema dell’umano femmina è di essere stata schiacciata su questa dimensione, quella della seduzione (l’altra è la dimensione del sacrificio materno). Per essere concreta il più possibile, una donna distaccata e per nulla seducente avrà molte possibilità di passare per Grande Stronza. Un uomo ugualmente? No so. Parliamone. Sono ipotesi di lavoro.
Poi veniamo agli estremismi. Siccome sento sempre parlare di questi benedetti “estremismi” che sarebbero tipici del femminismo, io vorrei che qualcuno finalmente entrasse nel dettaglio e li descrivesse, concretamente, in cosa consistono. Vorrei fatti, luoghi, persone.
Valerie Solanas (anche se è un caso un po’ border line), Andrea Dworkin e Catharine MacKinnon a mio giudizio hanno espresso pensieri piuttosto “estremi” ma ci tengo a dire che i radicalismi non sono esclusivi del femminismo ma come ho detto ci sono in ogni movimento di emancipazione (nel movimento di emancipazione dei neri c’era Luther King ma c’erano anche Malcolm X e le Pantere Nere). Per quanto riguarda le unghie laccate, ritengo che ogni donna abbia comunque il diritto di laccarsele se vuole, tutti noi ci occupiamo del nostro aspetto estetico chi più chi meno, per noi stessi e il prossimo, fa parte della nostra personalità. Sulla seduzione, senza schiacciare nessuno, confermo ciò che ho detto…capisco che una donna forte e assertiva, determinata (caratteristiche poi che non implicano ma neanche escludono altre, come la capacità di sedurre e vale per donne e uomini) viene da alcuni giudicata più severamente di un uomo determinato, assertivo (che può essere più o meno seduttivo quanto vuol), ma è un problema di mentalità di chi giudica così
beh! Se qualcosa nel mio testo lascia intendere che io abbia qualcosa contro le unghie laccate, è arrivato il momento di chiarire e rettificare. Ognuno può laccarsi ciò che lo desidera, e come, maschio, femmina o XYZ che sia. Con questa frase: “Oggi vanno di moda le tinte pastello, il bon ton. Le unghie femminili devono essere laccate, non graffianti. Gli sguardi femminili devono essere seducenti, non inquietanti. Oggi non è tempo di conflitti” non intendevo colpire o giudicare come ciascuno dà forma alla propria estetica. Nella mia intenzione si trattava di una metafora per dare l’idea di un “clima”, una tendenza al perbenismo e al quieto vivere, e anche a piegare le diversità individuali in categorie riconoscibili e perciò rassicuranti. Conformismo diffuso, è quello che sento… ma forse ci sono fatti a contraddirmi e sono pronta ad accoglierli e discuterli.
Interessarmi alla “mentalità di chi giudica” lo ritengo un dovere etico-politico. Lo ritengo un valido esercizio anche quello di analizzare la mia stessa mentalità per scoprirvi eventuali meccanismi di pre-giudizio, che sono insiti nel funzionamento stesso della mente umana.
La Solanas mi incuriosisce ma non mi appassiona, mentre non conosco abbastanza le altre due autrici. Uhm, le tre sono tutte americane. Sarà un caso?
dovevo intuirlo che era una metafora ma sono pignolo su questi temi
Non vedo perché le donne si dovrebbero definire anti-femministe, il femminismo ha portato molti cose positive per le donne molte libertà e molti diritti che prima non avevano, se io fossi una donna non sarei mai contro il femminismo, da uomo dico solo che sono a favore delle grandi battaglie delle femministe certo magari non condivido le idee di alcune femministe come per esempio quelle che sono contro la pornografia o quelle che sono contro i night club, ma quelle sono solo alcune femministe mica tutte.