Indisciplinata e impostorica

Dividua. Femminismo e cittadinanza, di Emma Baeri Parisi. Con letture di Elena Caruso Raciti e Antonia Cosentino Leone (Il Poligrafo, 2013)

Articoli, interventi a seminari e convegni, pagine di diario, poesie: i testi raccolti nel volume sono stati scritti tra il 1997 e il 2013. Nel 1997, mentre i maschi al potere fanno e disfano la “Bicamerale” per le riforme costituzionali, Emma sostiene che da questa partita non ci si può tirare fuori e lancia la proposta di un Preambolo alla Costituzione che “nel rispetto dell’integrità della Costituzione scritta dai padri e dalle madri fondatrici della nostra democrazia, la ricontestualizzi a partire dal compimento della cittadinanza femminile”. Nel 2013, sulla spinta di Elena Caruso Raciti, giovane compagna del collettivo Le Voltapagina, si interroga e riflette sul post-porno. Da qui prendo lo spunto per un offrire un piccolo assaggio del ritmo e dei toni del libro.

Felice di aver perso quattro chili per invasione bacillare mi accorgo di colpo che le rughe sono ormai pieghe, che la cellulite affiora imperiosamente dal sottocute, che in questa festa barocca di righe e palle il mio corpo di giovane donna potenzialmente interessato al post porno si è inesorabilmente trasformato nel corpo di una vecchia signora, che tuttavia sento ancora interessato al tema, inevitabilmente virato in senil porno: mi debbo inventare qualcosa, ne voglio parlare con le mie coetanee. Mi guardo intorno: dove sono?

Uguaglianza, differenza, diversità sono alcune delle parole chiave insieme a sessualità, corpo, esperienza bio-storica.

Emma Baeri Parisi (il secondo è il cognome della madre, non del marito) esplora la cittadinanza come una che torni più volte, ma in momenti diversi, sugli stessi luoghi. Li osserva, li scopre e li riscopre registrando al tempo stesso i propri cambiamenti.

E’ particolare questo libro perché ci sono dentro persone, ma anche animali e oggetti. Perché lascia che la vita concreta inzuppi ad ogni istante la tela della teoria. Di Emma conosco la voce e l’accento, la fisicità, l’abbraccio caloroso, e così mentre la leggo mi pare di ascoltarne la voce e mi viene una certa nostalgia di incontrarla.

Mi piacciono, dello stile e dell’argomentare, l’uso abbondante di metafore e la frequentazione compulsiva del dizionario.

Disciplina storica e indisciplina femminista

Come scrivere e trasmettere la storia di tutti tenendo dentro una storia, la propria; come lavorare perché la storia e una storia diventino di e per tutti, di e per tutte; come far sì che l’insegnamento della storia sia fecondo pure se cresce in un ambiente che tende a renderlo sterile, come quello universitario in cui Emma ha esercitato la professione. Sono queste altrettante spinte che hanno mosso la “in-segnante” ed “impostorica” Baeri a sperimentare. Laboratori ed esperimenti didattici occupano infatti una parte consistente del volume.

La spinta didattica è evidente anche nella cura con cui è spiegata genesi e significato di parole chiave del movimento politico delle donne. Dunque, direi, del pensiero politico contemporaneo.

Emma si dedica a sciogliere l’apparente contraddizione tra uguaglianza e differenza, uno dei nodi più intricati del pensiero e della pratica politica del femminismo. Lo fa con lo stesso gesto preciso e paziente necessario a certi lavori di ricamo o di cucito.

Credo di avere dei diritti

La lettura aiuta a comprendere passaggi e periodi del femminismo, durante e dopo gli anni Settanta. Emma dichiara guadagni e perdite procurate da un uso disciplinare del “pensiero della differenza sessuale“. Tra i danni, l’oscuramento di un discorso politico sulla sessualità, che era stato il frutto dell’autocoscienza, e la rimozione del corpo a favore del “simbolico”.

Preziosa per me l’argomentazione intorno alla necessità, per noi donne, di avere dei diritti senza lasciare che di questi si faccia schema vuoto o prassi istituzionale priva di effetti nella parte più dura, profonda e inaccessibile di un dominio millenario che prende il nome di patriarcato.

La lettura è stata utile e chiarificatrice in molti punti, perché viene continuamente esplorato il nesso tra corpi e democrazia. Come Emma, penso che:

la democrazia è il migliore dei mondi possibili, paradossalmente perché è imperfetta, quindi perfettibile; perchè è maiuscola, cioè astratta, quindi può diventare minuscola, potenzialmente per tutti e tutte. Certo è borghese, certo è occidentale, certo è bianca e maschile, ma da questo terreno siamo partite, lo abbiamo attraversato, non ne possiamo prescidere: possiamo trasgredirlo e reinventarlo, ma non azzerarlo.

Nella polis con un corpo di donna

Come entrare nella polis con un corpo di donna, dal momento che la fisionomia della polis si è definita, strato su strato secolo su secolo, su corpi maschili?

Terrei questo come filo che unisce le parti del libro.

A un capo del filo c’è Olympe de Gouges, “antenata da onorare tutti i santi giorni”, che aveva prefigurato problema e soluzione.

Per Olympe la questione era chiara: non era il corpo femminile a doversi piegare alla polis, ma la polis a quel corpo, nell’interesse generale.

Il processo è lento e incompiuto. Nel femministese, dire “emancipata” significa: “per adattarti alla polis hai tradito te stessa”, cioè “sei e vivi come un uomo”.

Sì, ma… come è un uomo? E come è una donna? Non c’è una differenza originaria da salvaguardare o scoprire, poiché millenaria è la dinamica di oppressione dentro cui è stata definita l’esperienza bio-storica di donne e uomini.

La differenza politica delle donne, come quella degli uomini, è da scoprire, inventare. “Dividua” è una parola nuova per dire di questa sfida. Corpo di donna che potenzialmente diventa due. La storia di genere è la storia di come maschi e femmine hanno gestito questa potenzialità costruendo leggi, abitudini, norme, muri visibili e invisibili.

Differente non è diverso! Reinventarsi il proprio genere

Può essere utile oggi, ciascuna per sé, provare a ricostruire il “proprio” genere partendo dalla propria storia personale, cogliere il senso della crescita di ciascuna?

“Penso di sì”, scrive Emma, e propone “le tappe di un inusuale percorso di conoscenza”:

  • richiamare la propria infanzia, la propria adolescenza
  • chiedersi: quali comportamenti ho assunto, più o meno consapevolmente, per essere accettata?
  • con quali sentimenti li ho “scelti”? Disagio, resistenza, sofferenza, accettazione, consenso?
  • quali sono stati i luoghi che hanno influito sulla costruzione del mio genere (famiglia, chiesa, scuola, televisione, cinema, lavoro, sistema politico, altro)?

Interessante esercizio, credo che proverò cimentarmici nei prossimi mesi.

 

Pubblicato da EC

Giornalista pubblicista, bibliotecaria, web content editor, video-maker. Argomenti: diritto alla salute e salute riproduttiva, contrasto alla violenza di genere, studi di genere, cittadinanza attiva Instagram: @Eleonora_Cir

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