Orecchini di plastica rossa sul centrino della nonna accanto a una tazza fumante, sul comodino.
Una piccola lampada che svetta a illuminare il foglio.
Panni puliti in transito su una sedia prima di migrare ordinati dentro ai cassetti.
Tracce di cibo negli odori che abitano la cucina, dove una magnifica cipolla bionda rimane in posa accanto al vaso del sale, ora che i fornelli sono spenti e il vapore si è dissolto dai vetri.
Sul muro l’ombra sinuosa di un ramo, rapito da un luogo là fuori per farne elemento d’arredo qui dentro.
Polvere quieta di un giorno dopo l’altro a sfumare le superfici.
Tapparelle abbassate sulle finestre a proteggere da occhi di altre finestre.
Parole chiuse nei libri uno accanto all’altro: quelli scelti o caduti qui per caso fra miliardi di altri.
Acqua che scorre a comando. Luce con un clic.
Spazio moltiplicato, una faccenda di angoli.
Oggetti riposti senza inventario e per vaghe affinità elettive. Chiodi, mutande, pennarelli, chicchi di riso, fogli, fili, vecchi nastri magnetici, apparecchi elettronici, detersivi, piastrelle, farmaci, tappeti, ninnoli.
Animali domestici: tarli, farfalline, acari.
La presenza ovunque dei pensieri nostri che traboccano dalla mente attimo per attimo, fontanella vibrante di materia sottile.
L’odore di chi ci abita. Peli, capelli, frammenti di pelle morta.
Il caldo per chi viene dal freddo, l’ombra per chi viene dal caldo, il riposo dopo la fatica.
Un piacere senza pari.
Il diritto primo, a troppi oscenamente negato.
Un privilegio, che vergogna per l’umanità riconoscerlo come tale.
Il cuore stride di rabbia e paura al pensiero di chi non ne ha.